LE CAUSE DELL’ANORESSIA E DELLA BULIMIA IN PSICHIATRIA E PSICANALISI

LA DIAGNOSI IN PSICHIATRIA E PSICANALISI

Questa è una premessa per noi indispensabile quando parliamo di diagnosi. Infatti, mentre la psichiatria tende ad oggettivare, a classificare spesso influenzata  dalle necessità del mercato farmaceutico, la psicoanalisi cerca di dare un senso alle cose.
Se dietro ad un sintomo che ha una sua logica particolare, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) vuole identificare un disturbo, un entità psicopatologica a sé, basandosi sul rifiuto del cibo, sulla  perdita di peso, sulla dispercezione corporea, dobbiamo invece sottolineare  che c’è un’ampia gamma di situazioni che vanno dalla crisi familiare o adolescenziale (che si risolve con un breve numero di incontri) a  quadri psicopatologici veri e propri con la loro struttura particolare.

Questo quadro piuttosto eterogeneo nelle sue manifestazioni, ci permette di intuire la grande varietà di problematiche a cui la definizione del sintomo anoressico-bulimico, sembra voler fornire un’artificiale omogeneità. Sarebbe pertanto un errore non andare al di là: e non puntare dunque al soggetto particolare, alla struttura del suo discorso.  Inoltre, va sottolineato che la gravità  del disturbo anoressico-bulimico altamente cronicizzato, non è da collegare alla struttura psicopatologica di base. Spesso la cronicizzazione dipende dalla mancanza di un buon incontro terapeutico. La paziente è rimasta in solitudine, indisturbata protagonista e artefice del suo gioco mortifero.
 
Per la psicoanalisi
 
In realtà, per la psicoanalisi,  il sintomo è sempre stato un messaggio in codice, un codice inconscio sconosciuto al portatore stesso. Questo messaggio è lì in attesa (come una raccomandata rimasta smarrita in un ufficio sperduto, che attende il suo destinatario). È come la Lettera Rubata della famosa novella di Edgar Alan Poe, che viene nascosta nell’unico posto dove non la si cercherà, ovvero alla portata di tutti. Il messaggio del sintomo è alla portata di tutti ma nessuno lo vede. A volte il sintomo è portatore di un conflitto tra desideri opposti e contraddittori che il soggetto rifiuta. Quando c’è conflitto, l’urgenza di una domanda di aiuto, di qualcuno che ci liberi dal nostro nemico interno, sorge abbastanza spontanea.. 

Purtroppo bisogna costatare un nuovo uso del sintomo che si va facendo strada  nella modernità, un nuovo fenomeno in controtendenza: non più il sintomo come domanda di aiuto, ma il sintomo come rifiuto dell’Altro. Mi limiterò dunque,ad indicare due  polarità , due dimensioni strutturali completamente diverse che si annidano nelle pieghe del sintomo ,creando due funzionamenti, due logiche differenti .la prima la chiamerò la forma tradizionale del sintomo, quello che freud ha scoperto nelle sue pazienti rappresenta la manifestazione a livello cosciente di un conflitto inconscio tra un desiderio e il suo opposto, è detto egodistonico perché procura sempre una certa sofferenza, mette profondamente in causa chi ne affetto. Per Freud era la manifestazione di una rinuncia al godimento pulsionale che permetteva al soggetto di umanizzarsi e di entrare a far parte della civiltà utilizzando la soddisfazione tratta da  mete sublimate e accettabili socialmente. Questi furono chiamati disturbi nevrotici in opposizione ad un gruppo di disturbi più gravi chiamati psicosi,  che portavano ad un completo distacco dalla realtà e anche dall’altro sociale.


La civiltà post-moderna è considerata una dimensione in cui il sintomo tende a queste forme più gravi perché  le censure e gli ideali sociali sono venuti meno e si assiste a una nuova forma di Super-Io, di  imperativo che non intima più il rispetto delle regole ma intima di godere incessantemente, che si potrebbe formulare in questo modo: “Godi incessantemente senza l’Altro”,   il desiderio si appiattisce su un dover essere sociale che gli richiede di soddisfarsi senza tregua,  trasformandosi in una sorta di bisogno. riducendo il desiderio al bisogno , la ricerca diviene allora impellente, perde vitalità, si diventa completamente dipendenti dall’oggetto che assume un valore mortifero.
Dunque un capovolgimento totale di posizioni., ambedue presenti nei sintomi anoressici e bulimico, quindi descriveremo queste due logiche, una appartenente al campo delle nevrosi e l’altra più resistente e incoercibile che semplificando ascriveremo al campo delle psicosi.

LE DUE FORME LOGICHE DEL SINTOMO


     Prima forma, il sintomo nevrotico:Il sintomo come domanda paradossale: il rifiuto come appello.

Qui il sintomo dell’ anoressica tradisce un desiderio: desiderio di riconoscimento, desiderio di essere amate, di avere un posto nell'Altro, di non essere lasciate cadere. Questa domanda è contenuta in ogni domanda d'amore del bambino, una domanda che l'Altro gli dia ciò che ha di più prezioso, che non si materializza con nessuna delle cose che gli si potrebbero dare; mentre l'Altro dell'anoressica  è spesso qualcuno che la riempie di cibo, ma senza riuscire a sostenerla con un desiderio particolare. L’anoressica dunque,si nutre di niente perchè deve preservare la mancanza nella sua operatività rispetto all’amore  e al desiderio (l’amore per Lacan  non è mai di un pieno: si ama l’altro per le sue debolezze, per le sue mancanze, per ciò che non ha).

La dimensione creativa di desiderio nasce sempre da uno spazio al di là del bisogno immediato, mentre ogni volta che il desiderio è soddisfatto si sperimenta che l’oggetto non è mai quello veramente ricercato ma un oggetto perduto originario. L’essere desiderante è una tensione, un’energia vitale positiva che la società moderna tende ad appiattire Quindi nell’anoressia abbiamo un  rifiuto che contiene un appello. Dice all’Altro che non si può confondere il soddisfacimento del bisogno col desiderio. Un tentativo di salvare il desiderio dalla sua saturazione e dal suo annientamento,per questo l’anoressica cerca di preservare un vuoto dentro di sé, e lo fa dicendo di no ad un interlocutore  che confonde domanda e desiderio. In questa chiave l’anoressica difende la propria particolarità soggettiva, minacciata dalla pappa di  un Altro asfissiante. 

 La domanda condotta in  modo rigoroso, anche a prezzo della vita, è quella di essere riconosciuta e sostenuta dall’Altro  come soggetto e non ridotta  ad un corpo da nutrire. L’ostinata oppositività è dunque un modo di rilanciare ogni volta  la domanda:"Ti chiedo di rifiutare ciò che mi offri perché non è questo”(Jacques Lacan); “non sono un tubo digerente, non sono un sacco da riempire”. Nel tentativo di salvaguardare la sua posizione si chiude in una rivendicatività ad oltranza  che si manifesta nel sintomo bypassando la sua responsabilità soggettiva . In questo modo non viene messo in causa il fatto che nel desiderio dell’altro c’è sempre un punto enigmatico e quindi angosciante.  Il sintomo permette di creare una barriera  che separa e protegge dall’incontro con l’altro sesso. In questo caso la psicoterapia può mettere in contatto con un interlocutore affidabile che non risponde né con l’angoscia né con l’indifferenza alla minaccia di sparizione della paziente

La seconda forma del sintomo: Il rifiuto radicale dell’Altro  

In questo caso il sintomo è più vicino nella sua gravità a ciò che un tempo si definiva sintomo psicotico; esso come tutti i sintomi della modernità, non appare come qualcosa che fa problema al soggetto. Semmai il disagio lo prova l'Altro, il familiare, il gruppo degli amici. La paziente, in un certo senso, si autocura attraverso il sintomo. L'anoressia é una risposta ad un altro percepito come invasivo e fagocitante. Per questo nell'anamnesi dei casi più gravi, troviamo episodi di incesto vero e proprio; oppure madri così simbiotiche da essere percepite a livello inconscio (dalle figlie che pure le amano perdutamente) come delle madri divoranti.  Pensiamo di conseguenza alla favola di Hansel e Gretel, in cui il soggetto offre la percezione del dito magro e poco appetibile per sottrarsi a questa azione divoratrice dell'altro. 

Questo fantasma del divoramento compare spesso nelle fantasie e nei sogni delle pazienti: Claudia. ad es. sogna di affogare in enormi torte di panna montata e associa una madre soffice ma dal calore soffocante. Il versante autistico del sintomo anoressico mette allora a riparo dall’Altro, è un tentativo di separazione, una pseudoseparazione (Cosenza) che in realtà ne rivela la profonda dipendenza. Il sintomo diviene una sorta di godimento autistico localizzato totalmente sul corpo, senza passare  per l’Altro sociale.  Un tentativo di preservare un godimento mitico. Tutta l’attenzione è dedicata al raggiungimento dell’agognata perfezione corporea.  Il piacere che ne ricava esclude ogni interrogazione che invece sorgerebbe da una dimensione conflittuale del sintomo. 

Qui non c’è nulla che possa dare al soggetto la percezione di un impasse, di qualcosa che lo implichi, che lo spinga a interrogarsi sulle motivazioni del suo disagio.  In questo caso invece, la paziente sembra attaccata al  sintomo, come qualcosa che la sostiene e ne trae spesso una sensazione di piacere onnipotente, di controllo narcisistico. A volte l’anoressica esibisce con una sorta di euforia il corpo cadaverico ed il modo in cui si è completamente affrancata da ogni bisogno corporale:Val dice: "volevo non essere umana”. Gio:"Ho eliminato le mestruazioni, mi dicono che ho anch'io un metabolismo e non posso sopportarlo" L'esibizione delle ossa che fa orrore, diventando una sorta di ancora di salvezza, allo stesso modo più che una mancanza di fame abbiamo piuttosto “l’orgasmo” della fame (Kestenberg) dove “il piacere si concentra nella muta ebbrezza della fame ricercata, inseguita e ritrovata.

Il rifiuto del cibo si presenta come una difesa da qualcosa che al di là del cibo ha un valore minaccioso, il soggetto  in un certo senso si sente perseguitato dall’altro e può percepire il cibo come qualcosa di velenoso, contaminante e contaminato. Questo eccesso di reale della pulsione, insopportabile e irresistibile al tempo stesso è  presente anche nell’immagine allo specchio,  che risulta alterata, deformata come descritto nell’accezione dismorfofobica.

La dimensione sessuale del corpo è completamente rigettata.

L’anoressica come il tossicomane, mette il  malessere fuori di sé nell’oggetto cibo, oggetto di passione e di fascinazione, escludendosi ogni implicazione soggettiva. Così anche la relazione con l’Altro è esclusa, tagliata fuori.  (vignetta)
Questo immobilismo , questa indifferenza, questa sorta di narcosi, che caratterizza il sintomo anoressico deve essere rimessa in gioco nella psicoterapia e ciò passa inevitabilmente attraverso la necessità di restituire al soggetto un po’ di angoscia, operazione possibile tanto più si riesce a svuotane contestualmente coloro che la circondano. Più gli altri riescono a disangosciarsi rispetto al cibo, al corpo, al peso più è possibile al soggetto di riappropriarsi della sua angoscia e ciò permette anche al sintomo di riassumere una forma di interrogazione e che lo riconnetta alla sua storia soggettiva.

*Domenico Cosenza:”Il muro dell’anoressia”Astrolabio 2008
E.Kestemberg,J. Kestemberg S.Decobert „La fame e il corpo“  Astrolabio 1974